Sono agli sgoccioli. Ho ottenuto una proroga a questa vacanza/esilio ma non posso continuare ad ignorare un fatto: tengo famiglia. Tutti sanno che non sono più positivo e perciò il mio allontanamento non ha più giustificazione.
Ora sono abituato a dormire in tenda da solo e so far fronte a tutti gli inconvenienti. Sono in modalità boy-scout, come mi dicevano all’inizio di questa avventura. Però non ho mai acceso un fuoco e nemmeno attraversato monti confidando sulla bussola. Lo smartphone ha delle applicazioni che mi consentono, con il GPS, di muovermi con disinvoltura senza timore. Comunque evito di strafare, ci sono sentieri segnalati che sfrutto per esplorare i dintorni.
Durante un’escursione ho raggiunto un borgo dell’appennino dove ho fatto un incontro inaspettato. Giovanni Lindo Ferretti, un’icona della musica alternativa, un antesignano del punk italiano già dagli anni 80. Conosco la sua musica e apprezzo i suoi testi, tra il mistico e il rivoluzionario. Additato come nume tutelare dalla generazione dei rockettari antisistema. Fuori dal comune. Ci siamo scambiati poche battute, sufficienti per dare un senso a questo mio girovagare tra i monti. Lui che ha cantato l’uomo primordiale, attaccato alla Terra, come unica fonte di saggezza. Ora vive isolato in questi luoghi carichi di mistero e solitudine.
Ho deciso che lascerò il lago Pranda per Campocatino, in Garfagnana, per raggiungere l’eremo di San Viviano sotto le frastagliate roccie del Roccandagia. È una lunga trasferta in auto che mi permette di riflettere su tanti aspetti del mio momentaneo fuggire dalla quotidianità. Ricerca del silenzio, nutrirmi di bellezza, fare poco ma intensamente.
Quando frequento la montagna in compagnia ci sono troppe distrazioni. Non si stacca mai veramente per immergersi nella natura, nella pura contemplazione. Questa è una delle ragioni del mio percorso in solitario. Poi c’è il desiderio di vivere la notte e il buio totale dentro un bosco. Tra gli alberi c’è una vita notturna che sfugge a chi frequenta la montagna solo di giorno. Il buio, che mi faceva paura da bambino, ora è meno terribile. E poi la Terra mi inquieta meno del Mare. Mi fa sentire più a mio agio, nonostante l’oscurità, di quando mi allontano a nuoto dalla riva.
Una notte insonne; sono uscito dalla tenda per cogliere qualche segno di vita notturna. I rumori del bosco si sono d’un tratto spenti. Sentivano la mia presenza come estranea. È giusto così, non appartengo a questo ambiente, resto un umano.
A Campocatino, sopra Vagli, non è vietato campeggiare. Basta smontare la tenda al mattino. È un antico alpeggio punteggiato di baite in sasso chiaro, la pietra locale. Anche su questo versante delle Apuane c’è molto marmo; è l’altro versante del monte Tambura, che però non vede il mare. Ho raggiunto l’eremo con le chiavi prese in prestito, custodite per i pellegrini dal gestore di un ristorante.
L’eremo è una tecchia del monte che, murata solo dal lato strapiombante, sfrutta la cavità naturale della falesia. All’interno un oratorio con altare molto spoglio. Si dice che San Viano o Viviano si nutrisse di cavoli selvatici; i pastori lo avevano assunto come protettore. Ero in contemplazione dell’orrido precipizio, in solitudine, quando ho percepito la voce di alcuni escursionisti. Raggiungevano l’eremo pur non avendo la chiave, così ho deciso che sarei rimasto alcune ore per favorire la visita di quelli che sarebbero giunti. Ho fatto il guardiano per tutto il pomeriggio, facendo conoscenze preziose. Un altro regalo che mi stava offrendo questa esperienza in via di esaurimento. La cosa curiosa è che alcune erano donne in solitario, come me.
La notte a Campocatino è stata la decima e anche l’ultima. Ora potevo concludere il mio breve viaggio con me stesso senza rimpianti. Avevo cercato e provato. Ma non ho ancora trovato.
