Sono seduto sull’erta scalinata che scende dalla chiesa della Cisa, porta di ingresso in Toscana sulla via Francigena. Non ho ancora deciso dove piazzare la tenda, probabilmente nei paraggi, a lato della traccia. Qualcosa mi spinge a non allontanarmi troppo dal valico, avere un contatto visivo con la statale 62 e la vita che brulica tutt’intorno. Camper, automobili, moto e ciclisti da ogni dove, scorrono a fianco della fontanella che è un refrigerio per tutti. Tranne per me. Sono a 1000 metri di altitudine e i gradi centigradi sono quasi 30. Mi avvicinerò alla fontanella quando il luogo sarà lasciato dall’ultimo turista e sarà chiuso il bar. Nel frattempo studio il terreno.
La tenda è montata tra tre aceri, quasi a cercare l’abbraccio degli alberi. La mia piccola nicchia si apre su un terrazzo erboso con vista sull’alta valle del Taro. Un complicato incrocio di colli e vallette tra pendii grigio verdi che digradano verso il basso parmense e la sua pianura. Da qui non si vede ma so che c’è, lontanissima verso est, e mi manca tanto il mare che vedo dalle mie montagne. Mi tremano un poco le gambe per la fatica ma sono attratto dalla mitica Francigena, lì a pochi metri dal campeggio. Il sentiero è un richiamo irresistibile e mi dico che potrei non avere più questa occasione. Con lo zaino leggerissimo e i bastoncini mi tolgo questa soddisfazione.
Oggi, prima di arrivare al valico, mi sono tolto un’altra curiosità. Nonostante fosse mezzogiorno sono sceso per uno stretto sentieretto che conduce alla cascata di Parana. In questo caso era il richiamo dell’acqua e del refrigerio. Sono sceso parecchio, giù per una forra, fino a raggiungere il corso del torrentello. Poi la risalita tra sassoni levigati dall’acqua e le svolte della corrente. Già ero preoccupato per il ritorno ma soprattutto dall’oscuro posto, tanto era fitta la copertura della vegetazione che sovrasta la gola. Qui non mi troverebbe nessuno, pensavo. In realtà, l’auto lasciata sul bordo strada sarebbe stata un’indicazione del mio cammino.
La cascata cade con un salto di molti metri dentro un profondo pozzo che a guardarlo mi inquieta. Io e l’acqua non andiamo per nulla d’accordo, sebbene mi affascini. Il mio incubo peggiore è sognare di affogare e adesso, stante il luogo solitario e ombroso, preferisco un tranquillo bozzo più a valle. Immergo i piedi per un lungo pediluvio, quasi un ghiacciluvio e sento quella frescura agognata da giorni.
La mia lunga ombra mi precede sul sentiero. Il sole che scende a ovest mi prende alle spalle mentre salgo il crinale dell’appennino in questo tratto della Francigena. La fatica, inusuale per me, mi induce ad un passo lento e cortissimo e mi do un traguardo fino al primo colle. Non incontro nessuno, i viandanti passano al mattino e a quest’ora stanno negli ostelli di tappa. Il giallo dell’erba secca e la luce radente del tramonto colorano tutto in toni caldi, anche quello che vedo in lontananza e non distinguo ancora. Mi prefiggo di andare ancora più avanti per vedere di cosa si tratta. E’ un grande cumulo di pietre di varie dimensioni posto al Crocevia del Pellegrino, sul Monte Valoria.
C’è una tradizione che indica, nel portare un sasso fino ad un luogo votivo, il sacrificio che si è fatto e che completa il pellegrinaggio. Un rito che accomuna credenti e non credenti nel rinnovare un gesto che travalica il senso del pellegrinaggio inteso come purificazione dai propri peccati. Sono pervaso da una dolce emozione nel contemplare quelle pietre, portate da mille mani sconosciute. Che io percepisco tutte nel toccarle, così infocate dal tramonto, come gemme di un mistero. Perché ho sempre questo bisogno interiore di camminare? Questo luogo è un crocevia di antichi percorsi che oggi si chiamano Via Francigena, Alta Via dei Parchi e Sentiero Italia.
Da una ricerca sul web, ho il cellulare sempre connesso, faccio una sorprendente scoperta riguardo il Crocevia del Pellegrino – “Sulla sella del Valoria è il paesaggio stesso a raccontarsi, tra le creste dell’Appennino parmense e la Lunigiana che si distende fino al mare. Un punto strategico e un crocevia, probabilmente, importante anche nell’antichità. Fino a qualche anno fa si dava per scontato che l’antico tracciato romano, che valicando l’Appennino settentrionale, collegava le colonie di Parma nella pianura padana con Luni sul mar Ligure, attraversasse il passo della Cisa. Le recenti scoperte, però, hanno fatto rivalutare il ruolo della Sella del Valoria gettando nuova luce sulla questione tanto da correggere l’ipotesi precedente, senza comunque cancellarla del tutto. Osservando la geomorfologia del territorio, infatti, il Valoria risulta il percorso più breve e agevole per raggiungere lo spartiacque appenninico, punto di congiunzione tra le valli dei fiumi Taro e Baganza e Magra.”
Scendo dal Valoria con la consapevolezza di calpestare qualcosa di più che la mera terra di questo sentiero. Sono un individuo in cammino con le identiche movenze dei miei progenitori, sento la loro fatica, il loro respiro, vedo con i loro occhi. Raggiungo il bivacco sempre assorto in questa catarsi e il sole non illumina più la valle ai miei piedi. Il tramonto sul mare, a quest’ora, lo vedono i miei amici che si sono fatti vivi con molti messaggi ai quali risponderò tra poco, prima del buio. Sulla statale della Cisa passano sempre più rare le moto e in questo silenzio sento delle voci. Nell’oscurità spicca lontana la luce di un grande edificio che non avevo notato di giorno. Sarà certo un luogo di vacanza perché distinguo bene le tonalità maschili e femminili di adolescenti. Risate, richiami un po’ urlati, voci concitate che si sovrappongono. Con questi suoni mi addormento per la terza notte.