Non replicabile. Notti in-quiete

La presenza di una casa, che non vedo ma ne sento i rumori in lontananza, mi infastidisce. Vorrei essere lontano da sguardi indiscreti in questa prima notte. Ho montato la tenda lungo una pista, un posto frequentato in mountain bike e moto da trial. Nessuno ha notato la mia presenza, forse per l’ora tarda, ma le voci che mi arrivano dall’abitazione tra gli alberi è come se fossero sguardi. Li sento già sospettosi, anche per via del loro cane che abbaia, ma sono fantasie. Forse nemmeno mi hanno visto armeggiare tra l’auto, che ho avvicinato con un po’ di fuoristrada, e la radura dove adesso si erge la tenda a igloo verde scuro. Un colore che apprezzo molto, in questa circostanza, per il mimetismo che offre adesso ma anche nei giorni a venire.

Ho ricevuto una foto dal ristorante dove si sono ritrovati gli amici del mare. La cena che avrei dovuto fare con loro. Mi fanno gli auguri. Ma per cosa? Sto bene. Mia moglie, che è lì, lo avrà ben riferito. Comunque ho inviato a mia volta un selfie con la tenda alle spalle. “Io penso positivo perché son vivo e finché son vivo”, la didascalia che vuol rassicurare da un lato ma fare anche lo spavaldo.

C’è ancora un poco di chiarore e non so bene come tirare avanti la serata, ora che il campeggio è pronto. Non ho fame e la scatoletta che apro è più per fare qualcosa che per appetito. Ho una vasta scelta di scatolette tra tonno, salmone, carne, fagioli, ceci, pere e ananas. Biscotti, crackers, tavolette di cioccolata, succhi di frutta e latte a lunga conservazione. Ma non mi va nulla e temo che questo accadrà spesso. L’afa e la stanchezza invitano più a bere che a mangiare. Quindi aspetto il tramonto.

Tra poco sarà buio. Non mi sento ancora pronto per chiudermi dentro la tenda e sdraiarmi sul materassino. Ho portato l’agenda per fermare le impressioni di questa avventura ma non sento nessuna ispirazione. Mi limito a fumare il toscanello che brilla nell’incombente oscurità e attendo un buio più profondo per ritirarmi. Pare che non arrivi mai. E’ troppo presto per andare a letto. Mi sono imposto di non accendere alcun falò. Non voglio farlo per prudenza, per non attirare attenzione e perché allungherebbe melanconicamente la giornata. Provo una certa confusione, non sono ancora ben dentro alla nuova situazione, infatti non so cosa fare.

Da qualche ora sono sdraiato sul materassino, più comodo del previsto. Alto abbastanza ma non troppo largo; riesco a girarmi sul fianco ma con attenzione altrimenti finisco giù. Il sacco a pelo è aperto, non sento freddo. Ora che nel bosco è calata la notte scopro cosa significa. Rumori, fremiti, versi di uccelli più o meno vicini, cose che si muovono tutto intorno con lievissimi fruscii. Questo non lo avevo messo in conto. Ogni piccolo sussurro che registro con l’udito, eccezionalmente sensibile, mi inquieta. Posso immaginare ogni tipo di presenza dietro a quei pochi millimetri di tela che mi separano dalla natura oscura.

Mi concentro per distinguere ciò che arriva dall’alto da quello che sta sul terreno. Uccelli o mammiferi. Civetta o gufo? Topo o tasso? Volpe o Istrice? Escludo il cinghiale perché farebbe molto rumore e poi sarebbe troppo da sopportare a livello di ansia. Pensiero da censurare. Non potevo immaginare che la quiete del bosco fosse talmente assordante. Non riesco ad addormentarmi. Sento un tonfo secco, da film thriller. E’ un rametto che cade sul tetto della tenda che mi fa sobbalzare. Quale animale lo ha spezzato e fatto cadere proprio sopra la mia testa? Mi impedisco di uscire per verificare con la lampada frontale che cosa sta accadendo intorno a me. Devo controllare le emozioni negative, altrimenti finisce tutto qui. E poi mi sento più al sicuro dentro la tenda.

La mattina arriva. Ho dormito a spizzichi, svegliandomi spesso. Ma sono deciso a proseguire l’esperienza. Ora devo lavarmi per la prima volta in maniera insolita. Raggiungo una fontanella con una saponetta e lo spazzolino da denti. È fondamentale avere acqua corrente vicino al campeggio perché sudo tanto e mi tolgo un po’ di polvere addosso. In maniera goffa, piegato a 90 gradi per non schizzarmi, detergo ascelle, viso e collo. Mi asciugo con un fazzolettone rosso che poi annodo al collo, alla partigiana.

La tenda è già smontata e tutto è nel bagagliaio, pronto per la meta successiva. Parto con l’obbiettivo di stare ad altitudine tale da evitare la calura e il senso di fiacchezza. Imbocco l’autostrada ed esco a Pontremoli, poi su verso Mulazzo. Da tempo nutro curiosità per il Cammino delle Maestà e mi dirigo a Pozzo, dove sfocia il sentiero che arriva da Montereggio.  Il percorso ripercorre l’antica strada medioevale che collegava i due castelli del Feudo malaspiniano di Montereggio. Parto con il sole allo zenit e la combino grossa. La traccia è pietrosa, assolata e invasa da vegetazione. Ho letto sul cartello all’inizio che è interrotto ma voglio lo stesso verificare. Come nella favola di Hansel e Gretel semino lungo il cammino gocce di sudore. Dopo 30 minuti mi arrendo, ho visto poco e nulla ma mi sono ben graffiato. Riprendo l’auto, un forno da pizza, e salgo i tornanti per il santuario della Madonna del Monte.

L’edificio è stato costruito sopra un cocuzzolo con larghi pratoni tutto intorno. In auto imbocco uno stradello che porta nel retro del santuario e decido che qui pianto la tenda. Spento il motore, silenzio. Nessuno in giro e tutto serrato. Nella canicola solo ronzii di cicale e calabroni. Mi aggiro per il portico loggiato del santuario e trovo, con piacere, panche tavoli e la fontanella. Benedetto sia colui che ha costruito in questo luogo isolato e dotato di ciò che serve al pellegrino, anche a santuario chiuso.

Sono a 1000 metri, nonostante ciò sento ondate di aria tiepida che mi raggiungono salendo dal fondovalle. Sullo sfondo intravedo, filtrati dall’aria pesante, Villafranca, il largo letto della Magra e l’autostrada della Cisa. E un ampio panorama sulla catena appenninica, che prediligo nel posizionare l’ingresso della tenda. Il secondo campeggio lo monto più rapidamente, tra rivoli di sudore lungo la schiena. Fontanella, arrivo!

La cena sul tavolo fratino, con vista sulla natura incorniciata dagli archi del portico, a base di ananas in scatola, è come fosse al ristorante. Il piano di legno invita a scrivere qualche riga nell’attesa della ritirata. Ma il sonno non arriva e allora, seduto davanti alla tenda in attesa del buio, sto assorto a contemplare le luci della valle. In the mood.

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