E’ stata un’opportunità colta, una vacanza imprevista, una di quelle cose che se ci pensi troppo non le fai più. E’ stata anche una fuga. Quando si dice prendere il treno al volo, ecco, è andata proprio così. Ma torniamo indietro a quella mattina.
Ogni mese faccio un tampone di routine, disposto dall’ente che gestisce la comunità dove presto volontariato. E’ un periodo che mi sento abbastanza fiacco – do la colpa al caldo però – ma sono allenato a lunghe escursioni in montagna. Esse sono diventate il mio passepartout per la serenità. Momenti rigenerativi imprescindibili in questo scorcio della mia esistenza. Ben supportato da un gruppo – quasi tutte donne – che guido per boschi e valli essendone l’animatore, faccio anche due escursioni a settimana.
Il caldo si fa sentire da alcuni mesi, una temperatura più da tropici perché accompagnata da alti tassi di umidità. Per dormire accendo l’aria condizionata; è a questa abitudine che attribuisco una leggera tosse che mi ha atterrato sul divano per un pomeriggio.
Il tampone arriva diversi giorni dopo. E mi coglie di sorpresa la positività. Dopo due anni dall’inizio della pandemia di covid non pensavo che ne sarei stato vittima. E, tolta quell’unica tossetta, da asintomatico. Informo i miei famigliari perché si facciano un tampone e capire chi di noi dovrà prendere precauzioni nei giorni futuri. Intanto il mio cervello si mette a funzionare con una lucidità che solo nei momenti critici. Se loro risultano negative io che farò, in una casa piccola, con un solo bagno e spazi in comune limitati. Resto confinato in una camera per una settimana, con questo caldo opprimente? Mi sento già in galera. E l’ansia insopportabile della moglie che mi seguirà ad ogni passo per igienizzare tutto.
Mi telefonano dalla farmacia: loro sono entrambe negative. Rispondo che stiano tranquille, me ne andrò via di casa per il tempo strettamente necessario. Non resterò relegato in una stanza. In quel lasso di tempo ho elaborato il piano che mi salverà dall’isolamento e mi regalerà una delle esperienze più strane della vita. Cerco e trovo la vecchia tenda da campeggio, compressa da vent’anni nella sua stretta sacca, il materassino gonfiabile e il sacco a pelo. Infilo tutto nello zaino e non dimentico un libro, il diario e una luce frontale. Con prudenza e accorgimenti necessari, riempio una borsa di scatolame con una veloce puntata al centro commerciale. Mascherina e distanziamento esagerato, pure con la cassiera. Pago con la carta tenendomi lontano. Ho impiegato non più di 10 minuti per fare provviste. E se penso che solo casualmente ho evitato di diffondere il contagio ad una cena prevista la sera stessa. Se il tampone l’avessi fatto il giorno dopo…
La prima meta, salito in auto, è sulle vicine colline. Sono partito tardi e devo trovare il luogo ideale in poco tempo e montare il campeggio. Dopo molti anni devo ripassare l’argomento, ma sono eccitatissimo per questa nuova avventura. Imprevedibile e carica di aspettative. Conosco il luogo, ci passo spesso da quella radura, ma devo verificare se adatta al campeggio. Non ho paura delle incognite. E’ un tratto della mia indole: non pensare ai rischi e seguire l’istinto. E tutto quello che sto facendo è nato d’istinto, senza troppo soppesare.
La rapidità con la quale ho mentalmente elaborato e concretizzato l’idea mi sorprende e mi gasa nello stesso tempo. Poche ore prima ero davanti al televisore, in attesa di un responso, adesso sono nel bosco. A montare una tenda che si è appiccicata e non vede la luce dal 2000, l’ultimo campeggio in Sicilia. Faccio molta attenzione nello scollare e separare i teli in nylon, e constato che ha perso l’impermeabilizzazione. Il meteo, però, è bloccato da mesi su tempo asciutto, caldo sopra la media, insopportabile. Una delle valide ragioni per cui adesso mi trovo nell’ombra del monte Belvedere.
Una volta stesa la parte inferiore sul terreno, ripulito da ogni possibile oggetto appuntito e leggermente in discesa, la tenda la monto da solo. Due archi in fibra di vetro, inseriti nei quattro angoli, sostengono la camera interna per mezzo di ganci rapidi. Il telo superiore, quello che ripara dall’umidità, una volta steso sugli archi, lo fermo al suolo con picchetti per una giusta tensione. Completo l’opera pressando i bordi della tenda con sassi o rami pesanti per far scivolare l’acqua piovana, invitata dall’inclinazione del terreno. Eppoi non si sa mai, ci fosse qualche piccolo essere vivente incuriosito in cerca di una tana. Fin qui tutto divertente e facile. Molto meno il gonfiaggio del materassino, fondamentale per dormire. E’ piuttosto alto e la pompa va manovrata con energia per gonfiarlo bene. Una fatica di almeno 15 minuti. Sembrano pochi ma lo sforzo mi costa tantissimo. Mi accorgo che le energie sono poche e associo la cosa al virus. Nei giorni successivi farò i conti con questa costante spossatezza.
Sono sfinito da tutto questo lavorio e mi siedo ad ammirare il primo campeggio. La tenda con il materassino ed il sacco a pelo riempiono tutto lo zaino grande. Un bel peso che non porterò mai sulle mie spalle. L’auto è fondamentale in questo progetto. Diventa il magazzino di tutto. Oltre agli accessori del campeggio è la cambusa dello scatolame e dell’acqua e soprattutto necessaria per la ricarica dello smartphone. Il mio isolamento dagli esseri viventi non deve escludere i contatti virtuali. Tengo al corrente famigliari ed amici della situazione. Postando brevi commenti e qualche foto sui social, in breve tutti sanno quello che sto facendo e sollevo entusiasmi, perplessità e critiche. Mariella mi invita a non farlo e quindi lo farò con il contagocce.
I commenti mi fanno sentire un po’ Indiana Jones oppure il boy-scout in braghette corte. Alle domande <Ma come farai?> non lo so neppure io. Senza lavarmi, senza pasti caldi, dormendo poco e con il dubbio di forze da centellinare.