Nella mia famiglia abbiamo tutti due paia di ciabatte. Un paio, più propriamente pantofole, servono per stare dentro casa, l’altro per uscire. Non è che andiamo in giro con le ciabatte invece delle scarpe; ci servono per uscire sulla terrazza e nel cortile. Non posso obiettare. Non sono io che tiene pulita la casa, perciò mi adeguo al dictat della moglie.
Nel periodo invernale, quando fuori fa freddo e si esce raramente dalla porta di casa, il cambio-ciabatte è occasionale. Si esce per stendere i panni – lo fa la moglie – per riempire la ciotola al gatto – la moglie, quasi sempre – e portare il bidoncino della differenziata al cancello – la moglie ed il sottoscritto in misura equa. E’ un cambio-ciabatte che non disturba più di quel tanto Anche se, a volte, se devo uscire in terrazza per un attimo, lo evito, di soppiatto dalla moglie.
Diventa invece una gran rottura di scatole durante la bella stagione, quando andiamo sulla terrazza per molte occasioni durante la giornata. Per pranzare o cenare innanzitutto, per leggere, per studiare, per fumare – pipa o sigaro – con la radio che diffonde, per ospitare gli amici o i visitatori di passaggio e tutto ciò che ci spinge a vivere il più possibile alla luce del sole, compreso appisolarsi come lucertole.
Ma non è che uno esce e rientra dopo un bel lasso di tempo. E’ tutto un anda e rianda, fuori e dentro casa. Questo significa un balletto di piedi che si infilano e si sfilano in continuazione, in modo ossessivo ma perentorio. “Chi lava i pavimenti?” La moglie. Quindi ci sforziamo di rispettare il suo lavoro con il cambio-ciabatte, che diventa un gioco di equilibrismo.
Sulla soglia della porta, ora costantemente aperta, giacciono, un po’ alla rinfusa su entrambi i lati, sei paia di ciabatte. Nelle quali ogni componente della famiglia inciampa o calpesta durante il cambio-ciabatte. Con il rischio di sbagliare taglia infilando a caso, mentre si sorreggono stoviglie, tegami e quant’altro occorre per pranzare all’esterno.
Dopo un paio di fuori-dentro abbandoniamo la regola e ognuno fa come gli torna comodo. Chi preferisce usare le ciabatte solo da esterno, cammina scalzo dentro casa. Chi fa il contrario e sta fuori a piedi nudi, godendo del tepore del sole e proteggendosi, invece, dal freddo pavimento. Chi, come il sottoscritto, piuttosto confuso, inverte la successione del cambio. Guastandosi il godimento della terrazza, diventata ambita, per i rimbrotti della moglie. “Porti dentro lo sporco. Chi tiene pulita la casa?”
Perché c’è un ulteriore inconveniente. In estate le ciabatte da esterno sono infradito. E’ una lotta continua nel tentativo di infilare le dita dei piedi nel modo giusto. Poiché l’infradito è sempre tra le dita sbagliate, ci rinuncio. Sono costretto, per non perdere la pazienza e inciampare, a fare a meno completamente delle ciabatte. Giro a piedi nudi.
Le piante dei piedi passano repentinamente dal freddo della ceramica al caldo del cotto. Soprattutto nei frequenti anda e rianda – apparecchiare e sparecchiare la tavola – sono come il noto percorso Kneipp. Per chi non sapesse sono traumatici cambi di temperatura, tipici della cultura nordica in tema benessere. A me interessa non incespicare; l’effetto benefico è solo una casualità. E non è che mi faccia sentire meglio.
Durante tutta l’estate, riflettendo su questo aspetto così condizionante della mia esistenza, sono giunto ad una potente riflessione. Il cambio-ciabatte è una metafora della vita. Un po’ pirandelliana, se vogliamo. Ci dobbiamo adeguare ad una realtà che non sempre ci piace. Qualcuno ci impone di cambiare la nostra natura. Che propende all’anarchia, alla ribellione, quando costretta nelle regole.
Se le imposizioni sono blande, saltuarie, come il cambio-ciabatte invernale, non ci pesa tanto adeguarcisi. Quando sono stringenti e ossessive, arriviamo al punto critico di sopportazione e subentra l’intolleranza. Quando giro a piedi nudi sono come i no-vax che rifiutano la mascherina.
“Cretino, hai i piedi sporchi. Vatteli a lavare se vuoi entrare in casa!”