29 Dicembre, due giorni per fare il bilancio di un anno-evento. L’anno della pandemia mondiale ma anche del mio pensionamento.
Non so se tutti quelli che hanno smesso di lavorare nel 2020 hanno sofferte come me. Il passaggio dalla vita lavorativa alla quiescenza accompagnato al lockdown per covid-19 mi ha messo in crisi . L’unica nota positiva è stato il conto in banca mai così pingue.
I primi due mesi sono stati gratificanti. Avevo impegni, come lettore ad alta voce, che compensavano la mancanza del lavoro inteso come attività che riempie la maggior parte del tempo. Il mestiere del portalettere era diventato faticoso e poco stimolante. Necessario era smettere di prendere freddo, soffrire il caldo e sostenere il peso dello scooter. Insopportabile. Potevo contare, smessa la divisa, sul desiderio di impegnarmi nella scuola, nel carcere, nello studio, in attività fisica all’aria aperta o in palestra calibrata sulle mie necessità.
Programma che copriva bene la settimana. L’unico pensiero era se e quanto avrei percepito dalla pensione – non ancora certa- perchè fino ad aprile non potevo inoltrare la domanda per Quota100, ovvero prepensionamento con 38 anni di contributi raggiunti per un pelo.
Arriva il lockdown ai primi di marzo. Siamo tutti obbligati a restare in casa. E io a non svolgere più nessuna attività, tutto bloccato perchè era solo volontariato. Un po’ le belle giornate che permettevano di vivere in terrazza – mai sfruttata così tanto – un po’ la sorpresa e la novità di reinventarsi il tempo, eravamo tutti abbastanza tranquilli.
Le notizie di chi si ammalava e moriva giungevano da un mondo lontanissimo. La televisione e i giornali, comperati in edicola – unico momento di libera uscita per fare la spesa- mi aggiornavano come il bollettino di un guerra combattuta al fronte non nelle vicinanze.E poi si andava verso l’estate. Le ore di luce aumentavano al punto che la cena in terrazza si prolungava fin oltre le 21, senza bisogno di luce artificiale.
Leggevo e scrivevo molto. Ritagliavo gli articoli dai quotidiani, totalmente dedicati alla pandemia. Un passatempo che mi distraeva. Dividevo i ritagli per argomenti: le morti degli anziani, i dottori e le infermiere, le nuove regole per vivere reclusi, le reazioni di chi non voleva accettare la realtà. Articoli tutti divisi in cartellette etichettate, da conservare per ricordare l’evento storico che stava accadendo sotto i miei occhi. Tenevo pure la mia personale conta; ogni giorno segnavo sul diario i dati diffusi dal Comitato tecnico scientifico del Governo.
Vivevo in una bolla, incosciente del tumulto epocale verso il quale stavamo tutti procedendo. Al punto che per distrarmi con ogni mezzo dalla realtà altrove, ogni sera alle 18 – da metà marzo fino ai primi di maggio- ho giocato con la musica, diffondendo nel vicinato la playlist quotidiana. Sul grande platano che sovrasta i tetti delle case avevo affisso ” Ce la faremo” – tolto subito appena passata la prima ondata, che credevamo definitiva. Il gioco – Bondano Plays – era piaciuto al vicinato. C’eravamo conosciuti, prima eravamo degli estranei, e non sarebbe accaduto diversamente, diventando djmassimo nel gruppo whatsapp.
Tre mesi con una certa dose di rassegnazione e tanta speranza nell’estate ormai alle porte. Noi tre insieme in casa, come mai era accaduto in passato, ce l’avevamo fatta, senza traumi e crisi di insofferenza. A giugno una novità per me. La prima volta che posso frequentare lo stabilimento balneare tutte le mattine senza l’assillo del lavoro. Anni passati ad evitare il caldo e la bolgia vacanziera mi avevano impedito, nel dopo lavoro, di andare in spiaggia come avrei voluto.
Adesso, alzandomi presto, mi godevo il mare, dalla terrazza del Pupa Mocambo, come un turista. Solo di mattina però. Il pomeriggio evitavo per i soliti motivi; troppa folla e troppo caldo. E poi non amo neppure fare i bagni, così mi accontentavo delle ore mattutine. Un bel passo avanti.
Arrivavo con libri, quotidiani e un binocolo per osservare il passaggio delle navi da quel punto di osservazione privilegiato. La navigazione è un’antica passione tant’è che tengo la patente nautica, scadutissima, nel cassetto. Qualche amica maliziosa sottolineava che era un alibi per fare il voieur… Con la colazione sulla terrazza marina, nella quiete delle più belle ore di luce, stavo lontano dal mondo e dal covid-19. La mia misantropia prendeva il sopravvento, mitigata da qualche sporadica puntata pomeridiana. Tutti notavano che il Pupa Mocambo era affollato come le estati precedenti. Tra amici e conoscenti non esistevano precauzioni. Giusto la mascherina sul viso per entrare nel bar e la firma di presenza all’ingresso. Ognuno poi, al proprio ombrellone o in acqua, si comportava come se non esistesse più il pericolo del contagio.
Arriva l’autunno, riaprono le scuole – chiuse da marzo – torniamo alle nostre consuete occupazioni e risalgono i contagi. La pandemia non è passata, anzi, torna più prepotente di prima all’attenzione di tutti. L’estate spensierata e truffaldina è un lontano ricordo, siamo tutti nuovamente presi dall’ansia e dalla paura. I morti sono troppi, non si riesce a tracciare chi contrae il virus, adesso dilaga incontrastato in tutta Europa. C’eravamo illusi – tutti – dai politici al cittadino comune. E qualche prezzo dobbiamo pagarlo.
Adesso mi accorgo meglio del virus perchè tra i positivi, i contaminati della seconda ondata, ci sono amici e conoscenti. E’ tutto più tangibile. Mi fanno incazzare quelli che negano l’esistenza del problema e fanno manifestazioni di piazza, si ribellano alle nuove strette imposte dal governo. Non solo dal nostro, ma anche da quelli che erano stati tiepidi la prima ora.
Vado in crisi. L’arrivo dell’autunno – con giornate più corte e più nuvolose – mi toglie le residue forze psichiche per affrontare il nuovo lockdown. In novembre si capisce che non è per nulla finito. Tutto da rifare, siamo tornati punto a capo. Non ho più voglia di leggere o distrarmi. Pure se durante l’estate qualche evento pubblico mi aveva rasserenato – letture in piazza, nel carcere e le escursioni con Ernesto tra i nostri boschi – sono state una breve parentesi felice.
Mi sento a terra, poco incline ai rapporti anche con i familiari. Mi chiudo in lunghi silenzi e assenze. Ansia e frustrazione. E la prima prende il sopravvento. Anche le notizie mi infastidiscono perchè ripetono le stesse cose dall’inizio della pandemia. Io ho fatto tutto quello che era stato raccomandato e mi ritrovo confuso e fragile. Non accuso nè governi nè i miei concittadini ma voglio che intorno a me ci sia più speranza e meno livore. Tutti potevano fare qualcosa di più, dalla politica all’uomo di strada. Potevamo sbagliare e lo abbiamo fatto, indistintamente. Dovremmo essere più fiduciosi nella scienza, che ci offre una soluzione con i vaccini. Ma molti sono scettici. Non si vaccineranno, come non si sono tenuti prudentemente lontani o non hanno portato la mascherina. Il mio futuro dipenderà anche da questi.