Felix

Da questa mattina la città è sferzata da rovesci di pioggia che non lasciano scampo. Ti inzuppi anche con l’ombrello, acqua e vento non hanno pietà.

Sono al calduccio con il mio tablet a leggere notizie sconfortanti, degne di questa grigia e umida giornata. Oggi è pure saltato l’incontro settimanale con i detenuti ma ricevo ugualmente notizie dalla casa di reclusione. Una richiesta di aiuto per accompagnare alla stazione un senegalese rimesso anticipatamente in libertà. Una breve detenzione per banali motivi. Forse, mi dice l’educatrice che ha chiamato, resistenza a pubblico ufficiale. In poche parole lo hanno messo alla porta. Un po’ come accade negli ospedali, ti mandano via perché, se non sei grave, tenerti è un costo. Felix è un senegalese e parla solo inglese e nemmeno tanto comprensibile. Senza documenti, senza soldi, senza un posto dove andare. La giornata giusta per uscire dal carcere, lì almeno aveva un tetto e un pasto.

La giustizia carceraria inizia e finisce al cancello. Sono problemi tuoi appena varchi la porta in uscita. Il personale, tra guardie e amministrativi, ha fatto una colletta. Mi consegnano una busta con 24 euro per acquistargli il biglietto, metterlo sul treno e affidarlo al personale FS con le istruzioni. Deve scendere a Viareggio, prendere la coincidenza per scendere infine a Prato, destinazione finale la questura.

Giuseppina, l’educatrice di turno, ha provato con Caritas e Case di Accoglienza locali ma non prendono più nessuno. Sta faccenda del contagio ha chiuso le porte della solidarietà. Felix non è un potenziale diffusore del virus, era in carcere da alcuni mesi. Ma le restrizioni sono ferree, neppure io posso più entrare in contatto con i detenuti, sono da proteggere.

Così ci avviciniamo alla stazione sotto un pioggia che arriva di traverso e a poco serve il mio ombrellino. Gli porto la sacca a tracolla, e un braccio intorno alle spalle umide come le mie. Tiene in una mano una borsa di plastica piena di cose alla rinfusa dove sporge una cartellina portadocumenti. Nella breve conversazione di congedo mi hanno detto che ha fatto richiesta di asilo politico. Mi chiedo come avrà fatto. E poi danno asilo politico a chi arriva da Dakar?

In quel breve tragitto fino alla stazione, tra pozzanghere che le automobili ci riversano sulle gambe, gli ripeto in inglese le istruzioni del suo viaggio. Chiedo come si trovava in carcere. Male, penso di aver inteso. Molto probabilmente sente di aver subito un’ingiusta carcerazione. Del resto con chi poteva avere un dialogo e il suo inglese è oscuro. In quelle poche frasi , quelle che traduco, dice che mi sono fatto un’opinione sbagliata di lui. Non so cosa replicare. Provo tanta desolazione perché sono visto nel modo sbagliato. Non mi faccio opinioni negative sui detenuti altrimenti non farei il volontario. Troppo difficile da spiegare ed il treno è arrivato.

Il giovane capotreno, lo vedo all’ultimo secondo quando ha già fischiato, mi aspetta mentre arrivo di corsa con Felix che mi segue. Il treno si muove, gli spiego velocemente che il ragazzo deve scendere a Viareggio e prendere un altro treno. Ho messo il biglietto con le istruzioni in mano al senegalese e in tasca il resto. In quel momento non ho altro da offrirgli che l’ombrello.

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