Una gita tranquilla

Qualche giorno prima inizio sempre con lo studio della carta stradale. Una delle cose che mi piace particolarmente è quella di studiare un itinerario. Deve essere interessante, nuovo, ad anello e soprattutto passare per strade poco note. Escludo categoricamente autostrade e superstrade e vie troppo trafficate.

Dopo aver vagato con l’occhio sulla carta, tra valli e passi montani, comincio a delineare un ipotesi. Verifico i collegamenti, osservo le altitudini e mi vedo già lungo il percorso. Questo lavorio spesso mi concilia il sonno, se lo faccio a letto prima di addormentarmi. L’attesa della domenica è riempita da stampate delle cartine scaricate e del roadbook da inserire nel trasparente della borsa -serbatoio.

Sabato pomeriggio sono in garage a predisporre la moto per il giorno successivo. Un bel pieno di benzina significa non perder tempo, una fermata in meno durante il viaggio e soprattutto evito di armeggiare con  guanti, casco,  tasche interne alla ricerca dei soldi.

Domenica mattina sveglia alle 8. Una sana colazione con latte, orzo e fette imburrate, calorie necessarie contro il freddo, e inizio la vestizione per affrontare una giornata marzolina che sa di tramontana. Quindi mutandoni di lana sotto i pantaloni termici, un bel gilet di lana per busto e spalle, giaccone pesante con inserite nella fodera le protezioni in caso di caduta. Mi appesantisco parecchio ma mi fa sentire più sicuro.

Cosa devo mettere in tasca lo so a memoria: borsellino, cellulare, macchinetta fotografica, orologio con altimetro/barometro. Questo è uno sfizio che mi garba da matti! Ah, il telecomando per il cancello elettrico. La visiera del casco l’ho ripulita con il vetril. Che goduria. Non un c’è un pelino. Scarponi pesanti con doppio calzino di lana,  e guanti da sci. Poco professionali, è vero, però in tinta con il giaccone.

Rumore di moto che si accende, ma solo per pochi attimi. Ma certo, è il freddo. Riaccendo. Mmm, la moto non è la solita. Ma si, sarà questione di pochi kilometri, poi la temperatura del motore si alzerà e tutto filerà a meraviglia. Passo del Bracco, eccomi!

Però sto motore che gira così male m’inquieta. Fatta poca strada mi fermo per controllare se un cavetto di una delle candele è allentato. Ascolto il motore. Da dei colpetti, ogni tanto gira bene poi torna giù, basso come l’inferno. Risalgo in sella con uno stato d’animo depresso. Cazzo, con una giornata così bella ed un sole meraviglioso, che rabbia! Il piacere della guida è disturbato. Mi concentro per capire quale ragione può causare un calo di potenza del genere. Le candele le ho sostituite da poco, non possono essere loro. Eppure ho la sensazione che sia un inconveniente all’impianto elettrico. Oddio e l’olio? Se mancasse l’olio il motore inizierebbe a perdere potenza. Porcamiseria, stai a vedere che per una cretinata del genere sto rischiando di fondere il motore.

Tra un pensiero funesto e l’altro non riesco più a godermi la salita al Bracco. Prenderò una decisione arrivato in cima. Intanto per salire uso la seconda e la terza, in pratica vado a passo d’uomo perchè la moto proprio non ce la fa.

Seduto tutto solo, sulla famosa curva del Passo, rimugino sulla sfortuna e osservo che tutt’intorno non c’è anima viva. Sarà la giornata fredda, perchè qui la domenica, di solito, c’è un raduno di matti in moto che si fatica a trovare parcheggio. Intanto invio l’sms convenuto a base-Silvia, la mia compagna biker che oggi non è venuta. E visto come butta, meno male.

Con rabbia scendo verso Sestri per imboccare l’autostrada e tornare a casa. Ma ecco che un angelo che svolazza sopra le colline mi vede e decide di darmi una mano. Come per incanto il motore si sveglia. Sarà per via della discesa che qui è bella tosta, penso. Azzardo una accelerata e la moto schizza via. Wow…ma allora si prosegue.                       Ho perduto un sacco di tempo e adesso devo recuperare. Il giro è calcolato sui 350 km, non posso trastullarmi.

Giunto a Sestri entro al casello per fare velocemente il tratto fino a Lavagna, ad ogni buon conto poco interessante. Ma sono davvero pochi kilometri. Quando esco riprendo a salire in direzione Passo della Scoffera. La strada è inserita nella val Fontanabuona, una teoria di case brutte senza soluzione di continuità. E’ una zona ancora vicino alla costa e molto popolata. Il bello comincia a Ferriere, dove lascio la strada principale arrampicandomi per tornanti che salgono verso il valico. Una scorciatoia che ho trovato sulla mappa che passa per Bosi. Ci sono solo io tra i boschi e spingo la moto che gira perfetta. Estasi pura.

Mi ricongiungo alla Statale 45 che proviene da Genova e scollino alla Scoffera. Pochi metri per attraversare l’omonimo paese ed iniziare la discesa che porta a Piacenza, che già sento arrivare, dalla lontana pianura emiliana, raffiche di tramontana. In compenso cielo terso e visibilità ottima. I borghi che incontro sono belli e fotografabili. Torri di castelletti finto medioevo e casoni di sasso. Le chiese hanno facciate maestose, piene di fascino nella loro semplicità. Mi stupisco a pensare quanta gente popola la val Trebbia da qui fino alla pianura. Noto che in ogni Comune ci sono pannelli turistici che illustrano le bellezze del posto e hanno ragione. Il torrente ha scavato il suo letto serpeggiando  con scenari incantevoli e l’acqua è smeraldina. Giunta dalle nevi che coprono le cime più alte che mi circondano.

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Il freddo adesso lo sento, ma tanta è la contentezza per il viaggio, dato per perso e poi ritrovato, che non mi do pena. Ora la strada è più alta del torrente che tumulta laggiù in fondo tra le rocce appenniniche. Non posso trattenermi  dal fotografare le anse che mi ricordano i canyon. Ho percorso un bel tratto di strada con curve che abbracciano i fianchi della montagna e ogni tanto incrocio altri motociclisti che salutano con il classico lampeggio. L’anno passato, quando giravo in scooter, questo non accadeva. La moto adesso mi rende appartenente alla grande famiglia dei bikers. Non ho ancora acquisito questa abitudine incrociandoli, ci penso ma poi non lo faccio. Tuttavia mi beo della cosa.  Il mio corpo sta progressivamente perdendo calore. La gelida tramontana mi rattrappisce aggrappato al manubrio. Occorre una sosta per riscaldarmi. Punto su di una trattoria e accosto tra due moto bmw che hanno avuto la mia stessa intuizione.

 

Non mi piace  indugiare  seduto ad un tavolo  quando sono in viaggio. Lo trovo una sottrazione al mio passatempo preferito e anche una rischiosa abbuffata che mal si addice alla guida, ancor più alla guida della moto. Mangiare necesse est, quindi due bei panini e un poco di vino della casa sono la mia ordinazione. Tra l’altro il locale è affollato e rischierei di perdere tempo prezioso. Con il calore del locale e del pasto, ancorchè frugale, mi rimetto nella giusta condizione per riprendere la gita.

Sulla mia testa, mentre accendo il motore che non da più segnali di soffrire del malanno mattutino, incombe un cielo grigio, foriero di tempo brutto e che occulta il prezioso sole che mi aveva accompagnato fino a qui. Il mio percorso, purtroppo, torna verso i passi di montagna che mi riporteranno in Toscana. E’ anche la via più breve e non ho molta scelta.

Alle prime rampe che portano al Mercatello, il primo valico da affrontare, scendono fiocchi candidi che svolazzano incontro alla visiera ma non mi impauriscono. Quello che mi preoccupa, invece, è l’indicatore del serbatoio del carburante. Ho percorso circa 180 km e dovrei avere benzina per almeno altri 100. Perchè invece segna così poco? Mi fido comunque del calcolo, per esperienza, e non ci penso più di quel tanto e proseguo.

Tuttavia sono turbato da quell’indicatore che sta dove non dovrebbe…Il turbinio della nevicata rende ancor più attraente il paesaggio che mi sfila intorno. Abeti e cocuzzoli di vegetazione curata e singolare. Ho deciso, sto pensando,  che ci tornerò con Silvia e chi vorrà seguirci, mentre mi godo lo scollinamento nell’alta val Nure piacentina. Mi trovo a 800 metri di altitudine e la discesa porta verso Ferriere, a quanto sembra un toponimo frequente da queste parti. Raggiungo il paese e avvisto un distributore chiuso. E’ domenica.

La strada ricomincia a salire verso un altro scollinamento, il più elevato di tutto l’itinerario: Passo del Tomarlo a 1500 metri. Ai lati della carreggiata c’è neve e nelle curve che restano in ombra dei crostoni di ghiaccio. Questo mi induce ad una guida più prudente.  L’asfalto è sporco di brecciolino e le ruote perdono aderenza quando, inavvertitamente,  ci finisco sopra. Ha smesso di nevicare e il cielo si è aperto, non così il mio cuore che adesso palpita con il battito del motore. Se riesco a raggiungere la cima del valico potrò scendere verso Bedonia anche a motore spento.

Il cartello che indica che mancano pochissimi km al passo lo vedo in lontananza, ma non lo raggiungo. La moto emette il suo ultimo singulto e si smorza definitivamente. Il contachilometri segna 225. Non ho mai fatto così pochi km con il pieno. Come diavolo è possibile che sia finita la benzina. Scendo di sella tra due muri di neve. L’altimetro mi dice che sono arrivato a 1200 metri di quota. Quest’anno c’è stata abbondanza di neve, straordinaria per questi posti. Intorno a me è tutto così bello che non sento nemmeno troppa delusione. La positività è la mia risorsa estrema e anche una buona dose di fortuna, a volte.

Nel peggiore dei casi dovrò tornare indietro fino a Ferriere. Tutta discesa, quasi tutta, per 15 km. La moto prende velocità silenziosamente ma in curva quel brecciolino mi fa paura e devo tirare un poco il freno. Mi appiattisco sul serbatoio quando la moto rallenta per non offrirmi alla resistenza del vento. Ecco un bar. Scendo e chiedo se hanno benzina. Nulla da fare. Di nuovo in discesa libera. Una signora affacciata  ad un balcone mi offre solo la sua solidarietà mentre spingo in un breve tratto spianato.

Ed ecco la cazzata delle ore 15. La moto sta rallentando e, per non scendere di sella, spingo con la punta del piede. Per fare più presa con tutta la suola mi sbilancio in fuori, proprio mentre costeggio il ciglio erboso. Mi trovo già in equilibrio precario e bastano quei pochi centimetri sotto la scarpa che affonda nell’erba per cadere su un fianco. La moto va giù e io rotolo sotto il poggio.

Dio….ora sono affranto. Il solito ginocchio malandato è finito a contrasto tra la moto ed il terreno e devo sollevare i 200 kg del Transalp! Non passa nessuno. Meno male, sai quante spiegazioni dovrei dare. Inginocchiato comincio lentamente a far leva per sollevare la bestia. Di solito mi riesce e finisce tutto lì, ma questa volta, oltre la fatica ed il dolore che ne seguirà, devo mettere in conto che la moto non può ripartire.

Dolorante scivolo verso Ferriere, lentamente e guardingo, e verso un futuro prossimo carico di incertezza. Gli ultimi kilometri in silenziosa discesa e riflessioni  varie sul destino di questa giornata nera. Questa storia sta diventando davvero pesante.

La mia graffiatissima moto, ma oramai non ci sto più a pensare,  fa bella mostra di se davanti alla pompa di benzina deserta in una lattiginosa domenica di marzo. Mi consolo al bar con un caffè  e chiedo aiuto al barista. Un automobilista, interpellato poco prima, mi aveva mandato dal barbiere che, a sua volta, mi aveva indirizzato qui. Silvia, dopo il mio sms, vorrebbe venire a prendermi con suo padre. Ma non mi piego al destino, ragazza mia.

Ecco il colpo di fortuna. Qualcuno ha rintracciato il benzinaio e adesso tutto gira nel verso giusto. Nel frattempo ho capito la causa dell’inusuale consumo di benzina; è stato il mal funzionamento del motore durante tutta la mattina. Devo aver fatto la salita al Bracco facendo i 5 km con 1 litro. Un trio di BMWuisti si offre di aiutarmi nel caso non ripartisse la moto. Che simpatici e che solidarietà. Dalle battute che si scambiano intuisco  essere allegri varesotti buontemponi di animo gentile. Due chiacchiere e rimettono anche me di buonumore. Fatto lo strapieno, mai stato così vuoto il serbatoio prima d’ora, vivo ancora qualche attimo di angoscia allorchè il motore non parte. Occorrono diversi tentativi, con una tensione interiore elevatissima, prima di far giungere la benzina ai cilindri. Infine il rombo sonoro marca Honda mi scalda il sangue che penso già al ritorno. (continua)

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Si è aggiunta la nebbia, alla neve che biancheggia ovunque intorno, ai 1500 metri del Tomarlo. Viaggio sospeso nel bianco sopra, sotto e di lato.  Per fortuna che l’asfalto è pulito e garantisce una buona aderenza. Il termometro è prossimo allo zero e sento il fisico provato da una giornata in moto. Non mi sento ancora sfinito perchè la tensione è a mille e l’adrenalina mi aiuta ad affrontare l’ultimo valico che collega l’alta valle del Taro a Pontremoli.

Raggiunto il fondovalle a Borgo Valditaro imbocco i tornanti del Passo del Brattello. Non prima di aver fatto un dritto in una curva poco sopra Bedonia. La stanchezza mi ha fregato, ho allentato la concentrazione per un attimo e solo la buona sorte ha evitato un frontale con l’auto che sopraggiungeva. Lo shock allo scampato pericolo mi perseguiterà per un po’ di giorni, trasformato in  incubi notturni.

Nel frattempo le condizioni del tempo sono peggiorate, pare che nevichi dappertutto e qui non fa eccezione. Adesso la neve che scende a bufera sta imbiancando la strada e gli pneumatici delle rare auto lasciano tracce sull’asfalto. Ho i crampi alle gambe per il gelo e la tensione. Temo di perdere il controllo della moto, la stanchezza accumulata non mi aiuta in questo difficile momento. Fermarsi significa arrivare in cima al valico con la neve ancor più alta. Per guidare in queste condizioni tengo una gamba stesa per alleviare i crampi, una scomoda posizione in precario equilibrio. Per vincere gli spasmi dolorosi fletto la punta del piede e mi affido alla prudenza per evitare brusche manovre dalle conseguenze pericolose. Mai usare i freni, cambiare marcia dolcemente e augurarsi che i crampi passino presto.

Ed infatti passano, si. Però all’altra gamba. La sinistra, quella che governa la leva del cambio. Non so come, ma sotto il cartello del Passo, a quasi 1000 metri, ci arrivo. Mando l’sms e scatto anche una foto per ricordare l’impresa. Ho entrambe le gambe dure come il legno ma mi sento fiero. La discesa verso Pontremoli è scandita dal mio altimetro. So per certo che sotto i 500 metri non nevicherà più perche sto andando verso il mare.

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